Con grazia, per non apparire
dei provocatori, ci si potrebbe chiedere: “che stanno facendo Di Maio e
Salvini?”.
Hanno chiesto del tempo, onde evitare che il Presidente della
Repubblica desse incarico ad un possibile Presidente del Consiglio dei Ministri
(una donna, secondo le informazioni dei media) di presentare in Parlamento una
proposta di "governo neutrale", con tanto di lista dei ministri e un programma
limitato alle questioni essenziali, perché ormai incombono scadenze importanti
e inderogabili, che riguardano il Paese intero, l'Europa, il mondo.
Di Maio e Salvini invece hanno chiesto tempo. Hanno detto: “noi abbiamo vinto le elezioni. Dateci tempo di discutere una proposta di maggioranza, ci bastano due giorni”. Hanno ottenuto i due giorni. Ne sono passati tre, quattro, di più.
Allora ne hanno chiesto altri, si presume una settimana, perché l'accordo sulle cose da fare (lo chiamano contratto) non era stato raggiunto, e ora, che parrebbe che l'accordo sia stato raggiunto, lo vogliono sottoporre al giudizio dei loro iscritti, nei modi che ritengono opportuni: gazebo e piattaforma Rousseau.
E del
Presidente del Consiglio nemmeno l'ombra. Nemmeno dei ministri, che secondo le
consuetudini istituzionali dovrebbero essere scelti dal Presidente del
Consiglio e giurare davanti al Presidente della Repubblica prima ancora di
andare in Parlamento a chiedere la fiducia.
Ai giornalisti che gli fanno
domande l'accoppiata Di Maio / Salvini risponde che non stanno discutendo di
poltrone, come se non fossero già loro delle poltrone.
La Repubblica merita rispetto:
Il Governo non è fatto di poltrone, come pretende l'ipocrita vulgata populista,
ma di persone che decidono per il bene del Paese, e che devono essere degne,
preparate, riconosciute come tali anche in Europa e nel resto del mondo del
quale l'Italia non è un semplice sottoscala, per cui devono essere scelte nella
massima trasparenza, non attraverso una privata operazione di casting.
Il programma del Movimento 5 Stelle
e quello della Lega li ho letti anch'io. Non sono solo diversi: sono opposti.
Concordano solo sul punto di demolire quanto è stato fatto da altri prima di loro. E sui temi internazionali non resta che accendere dei ceri perché le scelte altrui non ricadano su questo fragile Paese, perché in quei programmi non c'è quasi nulla.
Concordano solo sul punto di demolire quanto è stato fatto da altri prima di loro. E sui temi internazionali non resta che accendere dei ceri perché le scelte altrui non ricadano su questo fragile Paese, perché in quei programmi non c'è quasi nulla.
Cosa stanno facendo allora i
sedicenti vincitori? Dalle dichiarazioni che rilasciano paiono sempre in
campagna elettorale. Gridano, si pavoneggiano, ricattano, ribadiscono i loro
punti di vista dai quali non si schiodano, per la paura di essere contestati
dai loro elettori.
Ci stanno facendo perdere del tempo prezioso, per presentare
un programma comune, blindato dal voto dei loro iscritti, che un Presidente del
Consiglio dovrebbe accettare da mero esecutore della volontà altrui, altrimenti
si torna a votare, come se il voto fosse un applausometro, e come se avessero
loro il potere di decidere per tutti, come se fossimo in una sperduta
repubblica delle banane.
Dove sta scritto che dev'essere così?
E dove sta scritto che loro due sono i vincitori (il 32 per cento l'uno, il 17 per cento l'altro)?
La verità è che per una
sciagurata legge elettorale, in gran parte proporzionale, le elezioni hanno
semplicemente registrato la frammentazione del Paese, con qualche urlatore in
più, e nessuno ha maggioranze precostituite. Quindi sarebbe ora necessaria una
dose industriale di buon senso, di capacità di ascolto dell'altro, di
disponibilità all'accordo per il bene di tutti, che nessuno mostra di avere,
meno di tutti coloro che si autodefiniscono vincitori.
Intanto continuano a incombere le scadenze della nostra vita associata, le scadenze economiche, le scadenze europee. Incombono le conseguenze di avvenimenti internazionali, l'acuirsi delle tensioni nel medio-oriente, il ritiro degli USA dal trattato sul nucleare con l'Iran, la minaccia americana dei dazi doganali, solo per fare qualche esempio, che richiedono una salda politica estera, in comune con quella degli altri Paesi europei, dato che ciò che accade altrove ha influenza anche sulla nostra realtà nazionale.
Quindi, nel rispetto delle regole, essenziale per una democrazia, occorre una maggiore velocità e meno arroganza.
Ed occorre che anche le altre forze politiche si facciano sentire, a partire dal Partito Democratico che, tra l'altro, in questo momento di passaggio dei poteri, sta ancora gestendo il Governo.
È bene che lo sappiano: se la situazione del Paese peggiorerà, la responsabilità sarà anche di chi si è seduto sulla sponda del fiume, aspettando i fallimenti altrui.
Lanfranco Scalvenzi