Gli ultimi dati sul debito
pubblico collocano ormai il nostro Paese su valori oltre il 132% del PIL,
nonostante la discesa dei tassi, il contenimento del disavanzo primario (spesso
divenuto avanzo), le tentate privatizzazioni e ogni altra operazione straordinaria
di ristrutturazione. Ce ne dobbiamo fare una ragione: il tasso di crescita del
debito resta strutturalmente superiore al tasso di crescita del PIL. E la
situazione peggiorerà quando anche la BCE dovrà gettare la spugna e
ridimensionare l' attuale politica di acquisto dei titoli pubblici,
“quantitative easing”.
Servono nuove strade, ma l’orlo
del baratro sul quale la crisi dei debiti sovrani con la destrutturazione
dell’euro ci conduce richiede innanzitutto una premessa: chi sarebbe contento
della fine dell'Euro (e dell'Europa)? Nonostante gli interventi di facciata di
generico sostegno ai leader europei contro la crisi dell'Eurozona da parte del
Presidente Trump, gli Stati Uniti sarebbero ben lieti che il dollaro restasse
l'unica valuta di riferimento e che il loro crescente debito potesse essere
finanziato gratuitamente o quasi. La Germania - verso cui sta montando in
Europa una pericolosa insofferenza e che finora le ha fatto respingere tutte le
plausibili vie di governo della crisi - avrebbe delle serie ripercussioni
economiche dalla frantumazione dell'Eurozona e, probabilmente, dovrebbe
abbandonare quei tassi di crescita in controtendenza che la caratterizzano.
Solo una soluzione strutturale
alla crescente insostenibilità dei debiti sovrani dei Paesi più esposti (PIGS)
può consentire un rilancio dell’Europa.
I Tobin Bonds non sarebbero altro che la conversione forzosa di
una Tobin Tax europea in Euro Bonds, emessi dalla BCE, di durata
preferibilmente ventennale, con tasso di riferimento intorno al 2% (o, se si
vuole, ancorati al rendimento dei Bunds tedeschi, più uno spread fino a 50
punti). I Tobin Bonds potranno essere attribuiti agli Stati sovrani che ne
facciano richiesta (con criteri di precedenza ad hoc, ad esempio utilizzando i
primi 5 o 6 anni di emissione per rimpiazzare tutto il debito greco, che
presenta oggi le maggiori criticità in termini di costi del servizio) - i quali
ne introiteranno il controvalore di emissione e dovranno curare il servizio del
debito - subordinatamente alla verifica, da parte della BCE che il disavanzo
primario degli Stati richiedenti non sia maggiore dello 0,5-1% del proprio PIL.
In tal modo, la stima di circa 57
miliardi di Euro annui garantiti da una Tobin Tax che colpisca le obbligazioni
e i derivati, non sarebbe "espropriata" al mondo della Finanza, che
potrebbe o riscuoterne a scadenza il controvalore pieno (godendo nel frattempo
di un tasso d'interesse non trascurabile e comunque, visti gli impegni sul
tasso d'inflazione della BCE, mai negativo in termini reali) oppure liquidarli
con una (probabilmente) modesta perdita in conto capitale. Inoltre, il rigore
sarebbe garantito dalla concessione di tali Bonds solo a Stati in sostanziale
pareggio di bilancio primario e quindi in grado di autofinanziare le proprie
spese. Per gli Stati che li acquisirebbero, infine, il guadagno nel regime degli
interessi (il servizio del debito) sarebbe rilevante, e permetterebbe di
finanziare la crescita.
Il rimborso a scadenza dei Tobin
Bonds, onde non inibirne dopo i primi vent'anni ogni effetto, non dovrà essere
effettuato, se non in misura trascurabile, con le nuove emissioni di Tobin
Bonds, ma con un insieme di misure quali nuova emissione monetaria, contributo
da parte dei paesi che ne hanno usufruito e sostituzione di Tobin Bonds con
Eurobonds veri e propri (il cui servizio in termini di interessi, ancora,
graverebbe sugli Stati che se ne servono per calmierare i tassi d'interesse).
Ovviamente, una progressiva espansione del volume delle transazioni finanziarie
soggette a Tobin Tax porterà risorse aggiuntive rispetto a quelle oggi
previste, accelerando un processo di sostituzione di debiti sovrani dei PIGS
che, altrimenti, potrebbe durare ben oltre i 60 anni.
Qualcuno potrebbe obiettare che
il sistema finanziario, i fantomatici mercati, verrebbe chiamato a sostenere un
onere straordinario rispetto alla attuale struttura dei tassi di interesse. A
tale obiezione si può rispondere in due modi. Gli operatori finanziari e
speculativi hanno innanzitutto un interesse in termini di "immagine"
nell' essere riconosciuti come coloro che contribuiscono, tramite i Tobin
Bonds, alla "stabilizzazione" dei mercati - ruolo che da sempre la
teoria economica ha attribuito loro - anziché essere visti come ingordi
fomentatori di "instabilità". In secondo luogo ogni creditore sa che
se la corda si tira troppo si spezza, soprattutto quando da almeno un
trentennio il rendimento sui debiti sovrani
(vedi il caso Italia nel post “MED - Consolidamento debiti sovrani” del
3 maggio 2013) è stato mediamente superiore a quello degli immobili, dei titoli
azionari e addirittura dell’oro. Ovviamente, il ridimensionamento dei tassi
d'interesse starebbe a fronte di una netta diminuzione del rischio medio del
debito, non più garantito da stati sovrani, ma da un'istituzione comunitaria,
sempreché non si ritenga che il rischio paese fosse in realtà fittizio e
artatamente provocato dagli stessi fantomatici mercati.
Inoltre chi se la sente di
certificare che l’attuale tentativo della Federal Reserve di alzare i tassi sul
dollaro non sortisca lo stesso tragico effetto del tentativo di Bernanke che nel
2008 causò il fallimento di centinaia di migliaia di famiglie e piccole imprese
e conseguentemente delle banche che le avevano finanziate (Fannie Mae e Freddy
Mac e a cascata la Lehman Brothers per citare solo le più note)?
In quel caso sarebbe ancor più
importante che l’Europa si facesse trovare preparata avendo stemperato il
rischio di default dei debiti sovrani con la loro stabilizzazione. Infatti in
tal modo, oltre a liberare risorse per lo sviluppo, si ridurrebbero le tensioni
tra i partner rilanciando il processo di unificazione sui temi politici che
sono i soli a poter garantire all’Unione Europea un prospero futuro.
Guido Citoni