Il tema del distacco della classe politica tutta dall’opinione pubblica e dal relativo comune sentire è stato quasi un ritornello quotidiano di tutta la stampa nazionale, dopo l’esito elettorale dello scorso febbraio.
E’ stato invece trascurato il tema del disagio crescente che le direzioni dei partiti sembrano incapaci di avvertire ma che pervade invece la militanza di base e le relative articolazioni organizzative.
Fenomeno assai percepibile nel PD per la duplice ragione di essere, più di ogni altro partito, dotato di una organizzazione autentica, per eredità dei partiti di provenienza, e di avere subito, con maggior acutezza, la delusione maggiore dall’ esito elettorale. L’ atteggiamento della classe dirigente raggiunge al riguardo un grado di egotismo che rischia di sconfinare nell’autolesionismo di partito.
Con un apparente profilo di innocenza ecco coloro che riconoscono come incipit dei loro discorsi agli iscritti di base, l’esistenza di errori commessi, ma sempre con il sottinteso di altrui responsabilità.
Oppure coloro che tengono conferenze, o addirittura pubblicano libri, esibendo interpretazioni della crisi di partito pur essendone stati, in gran parte, diretti o silenti corresponsabili.
Tutti, forse nessuno escluso, i componenti dell’oligarchia di partito recedono minimamente dalle posizioni conquistate nel tempo, giudicando irrinunciabile la propria appartenenza al gruppo di regia che immutabilmente ha retto il partito da un ventennio, con la connessa costellazione di danni consumati e traguardi mancati .
Nell’ imminente apertura della competizione congressuale che si concluderà ad ottobre, è tutto un sommovimento di candidature, di esponenti già variamente protagonisti della storia del partito, quasi protesi, nel loro fiero proposito di guida del partito, a ricostituirsi un alibi di verginità per i tanti insuccessi trascorsi.
Destino ha voluto che tale intreccio di relazioni si svolga principalmente a Roma, dove entra fatalmente in contrasto con lo stato di sconforto della militanza di base, di malavoglia impegnata nella competizione elettorale per la riconquista del Campidoglio.
Dove incredibilmente i militanti e i volontari ( e gli stessi candidati ) denunciano la incredibile difficoltà di ostentare le insegne stesse di partito perché ritenute a un punto molto basso di capacità di attrazione.
Insufficienza propagandistica attrattiva, è lecito sospettare, che, oltre all’amarezza di una “non vittoria “ elettorale politica, ha dovuto subire le ripercussioni di una conduzione delle primarie, per la designazione del candidato sindaco, non precisamente conforme ai canoni della migliore ortodossia.
(Pierluigi Sorti)